Settenario Addolorata – Giorno 2Contemplando, cari fratelli e sorelle, il dolore di Maria in questi giorni, ed elevandolo a Dio come se fosse il nostro dolore, uniti al dolore di Maria, lo vogliamo presentare come sofferenza offerta e che dunque diventa preghiera, ben accetta e gradita al cuore trafitto di Gesù.
Chi non ha dolori? Tutti qui dentro abbiamo i nostri dolori. Tutti piangiamo. Facendoci un esame di coscienza, oserei dire, come dice San Paolo apostolo, trovandoci in questa Chiesa omonima: “Ognuno di noi ha una spina nel fianco”. Magari fosse soltanto una. Ma questa spina si confà alle spine poste sul capo di Gesù e ogni nostra spina si trova lì, bagnata dal suo sangue, redenta dal suo sangue, purificata dal suo sangue. Questa, dunque, è la nostra speranza: vivere in intimità con Lui anche e soprattutto nel dolore.
Forse il dolore non ci fa crescere, quando viviamo nella fede? Quando lo ancoriamo alla croce di Cristo? Se stacchiamo il nostro dolore, la nostra esistenza, la nostra vita, che, ahimè, è fatta più di spine che di rose, cadiamo nel baratro della disperazione e vediamo oggi cosa c’è attorno: suicidi, ripiegamenti in diversi vizi, droga, alcool, giochi d’azzardo, sessualità impazzita; tutti vizi che rendono schiavo l’uomo che sembrano dare una soddisfazione meramente umana, ma che poi ti svuotano concretamente. Fuoco di paglia, che quando lo accendi non serve nemmeno a fare luce, ma solo fumo e intossica.
Ci vogliamo unire a Maria e contemplare i suoi dolori per arrivare a Cristo, per arrivare a questo monte santo, il Calvario bagnato dal sangue di Gesù. Vogliamo farci bagnare anche noi dal sangue di Gesù, nutrire anche noi dal suo sangue! Che bella quella immagine che vi ho sempre portato in certe circostanze e che i padri della Chiesa ci narrano portando l’immagine dell’infante, che succhia il latte dal seno della mamma. Così il cristiano deve porre le sue labbra sul petto di Cristo. Un’immagine che la dice lunga e richiama assai l’identità del nostro Dio che è padre e madre e che muore per noi solo per amore, per amore! E Maria è stata obbediente, per amore, solo per amore.
Tra gli aspetti di Maria è il mistero del suo dolore che tanto incarna dentro di sé, ma che allo stesso tempo trasmette tanta serenità, come dicevo ieri, contempliamo il volto divino di questa donna, di quest’opera d’arte che abbiamo. Lo stesso parente dello scultore, Vincenzo Genovese, ebbe a dire in questa sede durante la conferenza su questa bellissima statua, che forse solo una mano d’angelo è riuscita a scolpire il volto di questa madre. E il mistero del suo dolore è tra quelli che più nutrono, non hanno nutrito, la pietà popolare, la pietas, il sentimento che il popolo, i figli di Dio nutrono nei confronti di una madre che è sempre prodiga ad ascoltare, ad accogliere, a sentire, a perdonare.
In varie epoche storiche, oggi, dolori, pene, contengono in Maria un messaggio di forza, non di debolezza. Come dice San Paolo: “Quando sono debole è allora che sono forte”, perché è nella debolezza che ritroviamo la forza, l’ancora di salvezza, la misericordia di Dio, la sua grazia e ci rialziamo.
Maria non è solo un esempio di sopportazione e fortezza, come tante volte noi compatiamo: “Eh sì, bisogna fare la volontà di Dio, bisogna portare la croce; che ci vuoi fare, questa è la vita!”. Quasi diventa una monotonia questo esprimere nostro nei confronti di chi ha il dolore; ma, in quel momento, chi ha il dolore ha il dolore e “cu un ci passa un ci cridi”[1], non ci sono parole che possono attutire i dolori. Non solo quelli fisici, che a volte uno si augura di non avere, ma soprattutto quelli morali, quelli dell’anima, quelli dello spirito, che sembrano mai trovare un antidoto di guarigione, che se non portati con la fede e la speranza cristiana portano alla disperazione.
Quanta gente si immerge in questo mare di vizi che ammorba il mondo e che non trova l’ancora di salvataggio, perché l’unica ancora è la croce, non si può rigettare la croce! Non la Chiesa, non Gesù. E che ci resta? Cosa ci resta? A che vale questa vita senza Cristo? A che vale senza la Chiesa? Tutto il senso ontologico si perde di ogni persona; quando manca il timore di Dio, questo succede, crolla tutto, come un castello di sabbia! Altro che progettarsi per il futuro: faremo questo, faremo quello, faremo quell’altro. Dobbiamo vivere la vita alla giornata cari fratelli e sorelle! Non ci siamo ancora accorti della precarietà della vita, che oggi ci siamo e tra un istante non ci possiamo essere più! Non dico domani, ma tra un istante! Io che parlo in questo momento posso anche cadere e morire! Ma come, dobbiamo morire? Con i vestiti e le scarpe nuove? Andiamo a scegliere anche il colore del pezzo di mobile. Andiamo a scegliere: chiaro, scuro, con l’immagine, con i fiori, “ma chi ni vidimu”[2]? Quello che conta è come moriremo! Nella grazia di Dio? Ci pensiamo a confessarci spesso? Ci pensiamo a nutrirci spesso di Lui? A meditare la sua parola nel silenzio e nel nascondimento? “Io mi confesso direttamente con Dio!”: questa è religione a convenienza, non può essere. Se Dio ha dato in mano, nelle nostre mani indegne, ai sacerdoti, ministri indegni di Dio ma su cui stende la sua grazia, questo grande dono, dobbiamo credere che attraverso questi vasi di creta passa un grande tesoro, la grazia di Dio che è infinita ed inestimabile. Non si può chiamare il sacerdote quando una persona già non c’è più! “Si impressiona mischinu”[3].
Entrando in certe case, si fanno tutti i discorsi fuorché dire un Ave Maria. Si impressiona? Si impressionano di altro. Chiamate i sacerdoti, avvicinatevi ai sacerdoti! Potessimo essere spazzatura e lo siamo, come dice San Paolo, ma vedete nel sacerdote il volto di Gesù. Anche noi sacerdoti ci confessiamo, anche noi siamo fatti di carne ed ossa! Mi è piaciuta l’espressione di Papa Francesco, che in maniera confidenziale ad una persona, alzandosi la talare bianca disse: “Che cosa vedi?”. I pantaloni neri che gli si vedono spesso. “Vedi, anche io sono un uomo”.
Tutti abbiamo bisogno della grazia di Dio e Maria questo lo ha capito, per questo si è abbandonata a Lui! “Avvenga di me ciò che tu vuoi Signore”. Quindi il primo dono che Maria vive, da figlia di Dio, e poi da madre di Dio, è l’ubbidienza.
Stiamo facendo una sorta di triduo in preparazione alla prima professione di frate Luigi Adriano che farà giorno 11. Abbiamo pregato ieri sera e continueremo a pregare questa sera. Ci ascolta lui via radio nel convento dove si trova con i frati minori francescani, lì in Calabria. Giorno 11 farà i voti, e quali sono? Povertà, castità e obbedienza, ma se non si è obbedienti non si può essere né poveri e manco casti. Per questo, la prima lettura tratta dalla lettera agli ebrei, ci dice: Cristo nei suoi giorni e nella sua vita terrena offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a Dio che poteva salvarlo dalla morte, ma pur essendo il figlio e pur essendo Dio, cosa ha fatto Gesù? Imparò l’obbedienza, che non è semplicemente seguire una cosa, perché me lo dice quello o quella, ma perché me lo dice Gesù. E’ nell’obbedienza la mia gioia, ed è dall’obbedienza che scaturisce la povertà affettiva ed effettiva, non mi lego a niente ed a nessuno. Signore mi dono totalmente a te, è un cuore libero!
Ma questo anche nella vita matrimoniale: al primo posto va messo Dio! “Non trovo tempo perché a casa c’è da fare questo e c’è da fare quello”, ma il tuo amore per chi è? Per la famiglia certo, ma al primo posto Dio, Dio, Dio! Maria ha messo al primo posto Dio! E ha imparato come Gesù ad essere obbediente a Dio.
Madre Speranza di Gesù, beata, fondatrice dei Figli e delle Ancelle dell’Amore Misericordioso a Collevalenza, diceva: “Insegnami, Signore, ad imparare ad essere obbediente ed a compiere la tua volontà, anche quando non la capisco”. Noi vogliamo capire tutto, sempre, comunque, subito e vogliamo sempre ragione. Possiamo avere anche ragione, ma chi ubbidisce non sbaglia mai. Dall’ubbidienza, dunque, scaturisce la povertà affettiva ed effettiva, scaturisce la castità: la castità degli occhi, il saper guardare; la castità dell’udito, il saper sentire; la castità del tatto, i sensi, nel saper toccare. C’è modo e modo di vedere, sentire, toccare e la castità della bocca, il parlare.
Dove sta il digiuno che la Chiesa professa? Non è solo il mercoledì santo ed il venerdì santo, che pochi facciamo, ma tanti nun ni fannu, mangianu panina e murtatella, pani e salami a tutta forza[4], anzi, quel giorno! Perché dobbiamo andare a comprare il pesce? Mangiamu la carni! [5]Ma, il gesto è unito al patimento di Cristo con le sue carni straziate! Sicuramente uno non deve andare a comprare al posto del pesce, che costa poco, il caviale, le ostriche o l’aragosta con lo champagne. Non dovete fare come in qualche paese, dove i venerdì di quaresima, dopo la via Crucis, si andava tutti a mangiare! Parrì nenti mangiamu? [6]Pasta, aglio, olio e peperoncino, poi ci facciamo pesce spada, vino e il dolce. Pure il dolce? Di venerdì di Quaresima! Sì, e non è che il dolce è proibito? Pan di spagna non a secco, lo inzuppiamo nel vin santo! Troviamo tutti i motivi teologici noi per essere bravi, vero? Altro che digiuno!
“Non un cuore altezzoso che guarda l’aspetto io voglio, ma un cuore contrito e penitente; un cuore umiliato”. Chi ci insegna tutto questo? Maria. Donna dei dolori, donna dell’ubbidienza, donna della povertà, donna della castità.
L’augurio, allora, in questa prima professione semplice dei voti, la prima professione di frate Luigi Adriano, è che nascano nella comunità, come ci sono state, vocazioni sante alla vita religiosa, donne ed uomini al sacerdozio.
Oggi, non perché l’ho dimenticato, preghiamo anche per l’anima di Monsignor Campione, un sacerdote che si è spento all’età di 96 anni, ma che ha dato tutto se stesso alla Chiesa di Caltanissetta; un prete santo e dotto, che ha formato e indottrinato tante coscienze, tanti giovani in seminario. Prima di Padre Speciale fu lui il rettore, e poi per tanti anni vicario generale con Monsignor Garsia e gli inizi di Monsignor Russotto. Un sacerdote che si è spento soffrendo e offrendo e alla fine si è preso anche il Covid ed è andato a finire al cimitero senza esequie.
La nostra patria è nei cieli. Incamminiamoci verso il Signore, umili e ubbidienti, insieme mano nella mano ci assista Maria. Maria, madre della carità sotto la croce, modello di fede, di umiltà e ubbidienza, a Te ci rivolgiamo con fiducia e Ti chiediamo di intercedere per noi, con costante docilità allo Spirito, figlio e fedeltà dinamica al carisma dell’amore, perché la nostra comunità ecclesiale, le nostre famiglie, ognuno di noi, ci rinnoviamo nella comunione fraterna e, nel nostro andare ai fratelli, sia espressivamente con più grande amore verso l’amore crocifisso.
Sia lodato Gesù Cristo.
[1] Tradotto dal dialetto siciliano: “Chi non ci passa non ci crede”
[2] Tradotto dal dialetto siciliano: “Ma cosa vediamo?”
[3] Tradotto dal dialetto siciliano: “Poveretto si impressiona”
[4] Tradotto dal dialetto siciliano: “Ma tanti non lo fanno, mangiano panino e mortadella, pane e salame più del solito”.
[5] Tradotto dal dialetto siciliano: “Mangiamo la carne”.
[6] Tradotto dal dialetto siciliano: “Padre, non mangiamo niente?”